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Il mio abitacolo

lunedì 24 settembre 2012

Un bellissimo film d'amore.

Il rosso e il blu

Commedia, durata 98 min.- Italia 2012.- Teodora Film uscita venerdì 21 settembre 2012. 
 
Questo bellissimo e commovente film parla dell'amore, quello che arriva inaspettato rompendo gli schemi, le comodità, le palle.
L'amore non può essere che un dono arrivato per grazia, mentre spesso noi mercanteggiamo per avere amore coi nostri soldi, la nostra bellezza o il nostro comportarci nel modo giusto. 
Un vecchio professore cinico, deluso e disperato; una preside che cerca di fare funzionare tutto e di rispettare le regole, terrorizzata dall'idea di avere guai, e che ha rinunciato alla maternità perché trova fastidioso avere un figlio per casa; una studentessa arrabbiata che pensa di usare un compagno rumeno innamorato di lei per ottenere una rivincita sull'amore che la famiglia non le dà.
Queste persone appaiono senza qualità, personaggi fastidiosi, irritanti votati al fallimento; senza averne merito, anzi forse proprio nel momento in cui sono più "brutte", trovano l'amore che non cercavano più, che avevano maledetto, rifiutato, snobbato.
Invece il professorino che vuole salvare il mondo, trova una biro.  

domenica 22 luglio 2012

Effetti dell'amore di Dio


Venerdì mattina, per caso, mi sono trovata tra gli accompagnatori di don Ovidio, vecchio prete della Bassa che ha chiesto un autista per andare a vedere i paesi dove è stato parroco e che sono stati colpiti dal terremoto.
A parte l’inizio, molto pittoresco, in cui siamo incappati in un prete arrivato direttamente dal Mondo Piccolo di Guareschi: aveva lasciato sulla porta della canonica un biglietto che avvertiva che lo si sarebbe trovato nel campo. Infatti è arrivato, dopo i nostri richiami, con una tuta da meccanico (tute notoriamente indossate per il lavoro anche dai contadini): rugoso, calloso, gli occhi piccoli ed acuti dei nostri vecchi, semplice, silenzioso e sommesso nel pronunciare le poche parole che ha detto.
Don Ovidio, invece, essendo quella la parrocchia in cui è stato più tempo, era largo, lirico, commosso e in vena di confidenze. "Qui c’era la mia camera, l’albero piantato davanti alla chiesa lo mise mia sorella"… poi una serie di domande su persone della zona di cui l’attuale parroco, forse perché preso di sorpresa e desideroso di tornare ai propri affari, non sapeva dire nulla, non ricordava nemmeno i nomi.
Ce ne andiamo mentre il prete contadino butta lì a mo’ di scusa che si deve preparare per andare via.
Arriviamo nella piazza del piccolo paese, le case transennate, alcuni camper di cui, faccio notare io, uno della CGIL.
“Andiamo a salutare, non importa se sono della CGIL, è sempre gente mia”, mi risponde don Ovidio.
Scendiamo dall’auto.
Ed inizia lo spettacolo.
Rimango lì,  una piccola scossa di stupore e commozione mi attraversa; da qui in poi so che dovrò sgranare gli occhi e gustarmi ciò che accade.
Infatti don Ovidio si avvicina alle persone, le guarda negli occhi, si scrutano qualche secondo in silenzio, qualcuno domanda: “Mi riconosce?”, qualcun altro gli si fa incontro contento, poi il nome, il sorriso, la domanda di don Ovidio sulle condizioni dei familiari, della casa, di altri del paese. Oppure sono le persone che incontriamo a raccontare, come a voler affidare al cuore di questo vecchio padre la vita propria e dei più cari. E don Ovidio, accoglie, si fa partecipe, dimostra di conoscere e ricordare tutte le persone che vengono citate e quelle che incontriamo di persona.
Continuiamo passando piano piano in auto davanti alle case di una via del paese dove don Ovidio ci dice di andare, evidentemente perché lì ha diversi amici, e infatti alcune donne, appena lo riconoscono all’interno della macchina, escono di casa e ci corrono incontro e si ripete la scena dei racconti, delle richieste di notizie su parenti e amici e così via.
Andiamo a Cavezzo, Cavezzo sventrata, Cavezzo che sembra un paese bombardato. Qui troviamo il parroco, seduto su una sedia di plastica, in mezzo ad un prato, davanti al baule aperto della propria auto: intuiamo di essere nell’ufficio parrocchiale.
Questo parroco si ferma volentieri a parlare con don Ovidio, poi ci mostra le foto delle distruzioni e ci indica come fare a passare vicino alle macerie con l’auto in modo da poterci rendere conto della portata del disastro.
Partiamo. Questo don ci ha lasciato un senso insieme di calore e di impazienza, di tristezza e di forza: certamente una persona estremamente sincera e umana.
Di nuovo persone che ci si fanno incontro riconoscendo don Ovidio, altre che lui va a cercare e che si fanno fuori da case o negozi, sorridendo, felici di rivedere il parroco che li ha battezzati, cresimati, sposati o a cui facevano da chierichetti quando erano bambini. Quando qualcuno vuole dire a me quello che sta vivendo, mi devo sforzare di starlo ad ascoltare e di rispondergli, ma preferirei tacere e guardare: non sono venuta a portare niente di mio, sono qui per riempirmi gli occhi dell’umanità ed il cuore della bellezza di questo vecchio prete.
Saliamo in auto e guardiamo, indicandoci a vicenda le varie rovine, senza altri commenti. E’ qualcosa che va solo conservato nel cuore e nella memoria. Io penso, sgomenta, che pochi mesi fa avevo accompagnato un’amica e la sua bambina da una pediatra proprio in centro a Cavezzo, e a Cavezzo ci sarò stata un milione di volte, ma non riesco a ricrearmi nella mente la fotografia di com’era.
Proseguiamo per Camposanto, dove la commozione di don Ovidio è più grande perché qui ha trascorso i primi anni di sacerdozio.
Ci fermiamo di fronte alla chiesa distrutta ed arriva in bicicletta un signore che si fionda sul prete, lo abbraccia e via a ricordare i vecchi compaesani e le loro storie da don Camillo, come quello che, per festeggiare la morte di De Gasperi, aveva bevuto tanto vino che poi, partito in moto dal bar, alla prima curva aveva tirato dritto, schiantandosi. Oppure quell’altro che era fissato con l’invasione dei cinesi e che ne parlava a tutti (anche al vescovo l’aveva detto, un giorno che era venuto in visita), e tutti dicevano che era matto. Però aveva avuto ragione perché adesso entrambi i bar di Camposanto (e non solo) li gestiscono dei cinesi.
E così, pieni di gratitudine, io per quello che avevo potuto vedere di umanità in azione, il don per aver rincontrato tanti amici, siamo tornati a casa.

domenica 8 aprile 2012

Stefano Baldi "Sia fatta la tua volontà"

Caro Stefano.
A volte il Signore mette nel mondo qualcheduno che, pur crescendo e facendo la vita di tutti rimane bambino nel cuore e quando lo si incontra fa pensare, come con i bambini, di stare incontrando un pezzetto di cielo.
Questo sei tu, lo si percepisce nel tuo libro che mi ha cercato dagli scaffali della biblioteca comunale, nelle foto che si trovano sul sito dedicato a te...
Grazie perché mi hai dato la possibilità di percepire anche quest'anno cosa sia la gioia della Pasqua.
Sono convinta, l'ho sperimentato tante volte, che i libri ci cerchino e ci raggiungano proprio al momento giusto. Così mi ha raggiunto questo bel romanzo proprio mentre lo stavo cercando. Lo consiglio a tutti! http://www.stefanobaldi.net/index_file/stefano.htm

giovedì 5 aprile 2012

Romanzo di una strage

 


Il film è molto interessante e, nello stile di Giordana, ti tiene incollato per più di due ore alla poltrona senza un istante di noia.

Le due cose che mi hanno lasciata perplessa (perplessità condivisa da Mario Calabresi nell’intervista che ho letto dopo aver visto il film) sono: la figura poco umana del commissario Calabresi e la penultima scena del film, quella in cui il commissario Calabresi sceglie quale cravatta indossare.

Il commissario Luigi Calabresi viene presentato come un uomo integro, ottimo servitore dello stato, ma grigio e piatto ad una sola faccia, come se fosse una fotografia.

A ben pensarci, quasi tutti i personaggi mostrano solo un aspetto. Non sono uomini, sono figurine, didascalie. L’unico ad avere lo spessore dell’uomo è Pinelli.

Per quanto riguarda la scena della cravatta, è strana, ti lascia lì un po’disgustato: come mai proprio alla fine di un film così bello, una scena così cretina? L’unica ipotesi che mi viene in mente è che il regista abbia voluto all’ultimo momento dare una pennellata di colore per animare e rendere un po’ più umano questo grigio e piatto personaggio. Ottenendo, però, solo un effetto vagamente derisorio.

martedì 20 marzo 2012

Per la serie: Senti questa! - Immigrata

Oggi pensavo che forse dovrei far sapere le cose assurde che mi succedono, perché le mie esperienze possano servire anche agli altri.
Perciò apro una nuova serie di post che si intitola “Senti questa!”.
E inizio senz'altro.
Un’associazione di volontariato mi ha chiesto, attraverso un suo membro che conosco di prendermi cura di una ragazza africana che ha bisogno di aiuto per tornare in Africa, riprendere il figlio che attualmente vive in Africa con i parenti paterni, ed avere là un lavoro che le consenta di mantenere sé e il bambino.
Questa ragazza, una buona ragazza, gentile ed educata nei modi, vive in Italia da sei anni, ma non sa parlare l’italiano. Per avere il permesso di soggiorno in Italia ha presentato un falso certificato di matrimonio del suo stato africano. Ha usato il permesso di soggiorno temporaneo italiano per andare in Germania a lavorare in nero.
Adesso che il suo permesso di soggiorno temporaneo italiano sta per scadere, è tornata dalla Germania e si è fatta assumere con un contratto di lavoro falso qui in Italia, per poter rinnovare il permesso di soggiorno italiano. Questo le serve per poter tornare in Germania a lavorare in nero.
Tutto ciò abbandonando di punto in bianco un progetto che le avevamo proposto e che aveva accettato (anzi: era stato messo in piedi passo passo in base alle esigenze ed ai desideri che lei ci manifestava), ma per la realizzazione del quale non ha mai fatto niente in prima persona,  e che prevedeva di farla tornare a casa con una somma bastante ad aprire un’attività in patria diventando autosufficiente ed in grado di occuparsi del suo bambino.
Ora io mi chiedo: cosa vuole questa persona da noi? Cosa crede che sia l’Italia? Un limone da spremere? Che rispetto ha di un paese dove ha vissuto tanti anni senza nemmeno preoccuparsi di conoscerne la lingua e continuando ad eluderne le leggi e le regole? A noi che le abbiamo dato tempo, soldi, affetto, attenzione come risponde? Come ci considera? Delle persone che, solo perché sono più fortunate di lei, non meritano rispetto, lealtà, reciprocità, ma debbono soltanto essere usate e spremute perché possa fare quello che le pare? é giusto continuare ad aiutarla nella sua logica granitica di lavoro nero, contratti e certificati falsi ecc?

lunedì 5 marzo 2012

Pubblicità su facebook

"Consigli Per Le Rughe
saninforma.it
51enni che sembrano 26enni. Come? Gli esperti della cura per la pelle svelano incredibili risultati per il 2012."
Copioincollo questa pubblicità che appare sulla mia pagina di fb. La domanda è questa: allora io che ho 45 anni potrei dimostrarne 20???
E poi? Cosa faccio, inizio ad andare in discoteca con i ragazzini? Comunque ne avrei sempre 45, di anni!

venerdì 2 marzo 2012

L'amore di Lucio

"Così come una farfalla ti sei alzata per scappare 

ma ricorda che a quel muro ti avrei potuta inchiodare 
se non fossi uscito fuori per provare anch'io a volare..."
Ho sempre pensato che questa sia una delle più belle descrizioni di cosa sia l'amore.

Informazioni personali

La mia foto
Tettonica (a zolle) era il mio soprannome all'università, tanti e tanti anni fa. Me lo ero affibbiato da sola (trovavo soprannomi per tutti) ed esprime di me l'aspetto fisico (abbondante ovunque, ma soprattutto nella parte superiore). Ho rispolverato questo nomignolo perché ultimamente è aumentata la mia sensazione di vivere in precario equilibrio, o, se volete, di poggiare su una bomba ad orologeria. Che poi sarebbe il mondo in cui viviamo.