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Il mio abitacolo

domenica 5 febbraio 2012

Franz Werfel “Cecilia o i vincitori” e “Nella casa della gioia”

Non riesco a capire come io che da giovane ero seria e beneducata (solo dal punto di vista delle letture, per il resto ho sbagliato tutto), mi sia lasciata sfuggire due bellissimi libri di Franz Werfel.
All’epoca, quando ero giovane, cioè fino a circa sette o otto anni fa, ero molto selettiva nelle mie letture , mi disgustava la banalità e la sciatteria di tante cose che vengono pubblicate e spesso hanno un discreto o anche un grande  successo, e leggevo solo cose di un certo valore.
Quando mi imbattevo in qualcosa del genere ne seguivo il filone fino ad esaurirlo, cioè fino ad aver letto tutto ciò che era reperibile di quell’autore le cui storie mi avevano deliziato.
Parlo, citando ad esempio i primi che mi vengono in mente in ordine sparso, di Dostoevskij (che credo sia il mio più grande amore letterario), della Mastrocola (soprattutto “La gallina volante”), Giovannino Guareschi, Tommaso Landolfi, Dickens, e altri.
Di Werfel ho iniziato, circa vent’anni fa, con “Il cielo rubato”, libro che stava già per andare fuori catalogo quando mi fu prestato dalla Cristina e che mi infiammò oltremodo. Così feci incetta delle ultime copie in commercio e le regalai ad amici e parenti (io ritengo che sia una missione, un gesto d’amore,  ed una grande soddisfazione trasmettere agli altri la bellezza quando la si incontra).
Poi, come un segugio mi misi a leggere tutto quello che trovavo di Franz Werfel: “I quaranta giorni del Mussa Dagh”, Una scrittura femminile azzurro pallido”, “Ascoltate la voce”, “Bernadette” (ho citato a memoria i titoli, spero siano corretti).
Mi arenai su altri romanzi che lessi con grande fatica (es: Verdi) o che abbandonai dopo alcune pagine (Barbara) e credetti di avere esaurito l’argomento “Libri di Werfel che posso apprezzare”.
Ora io, negli ultimi anni, invece di diventare più saggia mi sono instupidita, e così mi sono rotolata nella lettura di libri “usa e getta” e il mio livello di lettura ha raggiunto la sua vetta con Alexander Mccall Smith che è sicuramente un autore simpatico e piacevole, molto consigliabile secondo me per la gentilezza e la serenità che trasudano i suoi libri, ma certo non si tratta di opere d’arte eccelse.
Negli ultimi mesi, poi, non riuscivo più a prendere in mano un libro.
La lettura mi annoiava a morte.
Ho provato a rileggere le commedie di Shakespeare, ogni pagina una sudata. Per la prima volta nella mia vita capivo le persone che fanno fatica a leggere. Prima mi sembravano marziani.
Mi sono messa a guardare Rai Premium e tutte le fiction della Rai su internet e, io che ho sempre odiato la tv, ho speso ore e ore della mia vita povera di impegni e solitaria a guardare fiction. Poi, per fortuna, la tv mi annoia e ad un certo punto, smetto.
Sono riuscita a riprendere in mano un libro, leggendo “I love shopping a New York” della Kinsella. E mi è anche piaciuto. Un po’ preoccupata per il fatto di averla apprezzata, mi sono letta altri due libri della Kinsella. Come per le fiction, ha vinto, grazie a Dio, la nausea.
Ecco, non so come, in questa devastazione moral- intellettuale, sono riuscita, pur titubante e scettica, a prendere in mano i romanzi di Werfel “Cecilia o i vincitori” e “Nella casa della gioia”.
E finalmente il ripetersi inaspettato e meraviglioso della bellezza che irrompe nella vita: ammirazione per il genio che ha prodotto con quella scrittura quelle storie e con quella profondità, beatitudine nel  leggere qualcosa di così bello, felicità per essere di nuovo con una certa facilità riuscita a leggere qualcosa di valore.
Ma come mai mi ero fatta scappare questi due Werfel, prima?

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Tettonica (a zolle) era il mio soprannome all'università, tanti e tanti anni fa. Me lo ero affibbiato da sola (trovavo soprannomi per tutti) ed esprime di me l'aspetto fisico (abbondante ovunque, ma soprattutto nella parte superiore). Ho rispolverato questo nomignolo perché ultimamente è aumentata la mia sensazione di vivere in precario equilibrio, o, se volete, di poggiare su una bomba ad orologeria. Che poi sarebbe il mondo in cui viviamo.