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domenica 5 febbraio 2012

Per la serie: recuperi dalla vecchia rana - Bakhita

lunedì 6 aprile 2009

Perché rappresentare la vita di una persona vera inventandosela di sana pianta?
La vita di una persona che, essendo morta pochi decenni fa, si può conoscere con esattezza grazie a testimonianze particolareggiate, fresche e vivide?
Che senso ha inventarsi la storia di una vita che già di per sè offre mille avventure, colpi di scena, cose buffe e tenere, dolorose e drammatiche, avvenimenti cui un bravo sceneggiatore può attingere a piene mani per realizzare un film interessantissimo?
No, chi ha ruminato la banale panzana propinataci ieri sera (stasera no!) sulla vita di Bakhita, è partito dalla presunzione che la sua fantasia sia molto superiore alla storia vera di una povera santa nera.
Quid est veritas?

Trovo pleonastica questa "riscrittura" ("liberamente tratto": il 99% delle volte è un paccco!) della storia di santa Giuseppina Bakhita.
Siccome stamattina sono un po' inceppata con le parole, mi farò aiutare dalla recensione di Mymouvies:
"...Spiace soprattutto, in questo senso, la presa di distanza marcata della sceneggiatura dalla vita vera del personaggio narrato, in nome di un "romanzo" da inventare che non ha, però, i tratti della novità, né letteraria né cinematografica."
Già.
Ma c'è un altro aspetto interessante da sottolineare (sempre da Mymouvies):
"...Piace, invece l'adozione del punto di visto di Bakhita, che guarda, stranita e curiosa, alla nostra società e punta involontariamente il riflettore sulla condizione di schiavi dei contadini veneti, la cui sussistenza dipende quotidianamente dai capricci del padrone."
A me spiace anche questo. Perché non è vero che i contadini veneti erano in condizione di schiavi.
Certo, le classi sociali non corrispondevano certo a quelle di oggi, ed anche i caratteri e i comportamenti dei padroni erano certo molto diversi da quelli di oggi (padrone inteso non nell'accezione di BUANA, ma nel senso di SIUR PARUN) ma non c'era schiavitù né esplicita nè mascherata. Il modo in cui il padrone in questo film tratta i contadini è un po' ridicolo e sa di favoletta. E', invece, proprio questo l'inizio della conversione di Bakhita: acquistata (non salvata durante un attacco di predoni) da un console italiano (e non da un contadino col mal d'Africa) viene per la prima volta trattata dai suoi padroni (leggi:datori di lavoro) come una persona e non come un oggetto.
Che tristezza: continuiamo a raccontarci frottole, a crearci la nostra realtà virtuale, la nostra storia virtuale, la nostra santità virtuale, la nostra personalità virtuale, sempre più lontane dalla realtà vera, continuiamo così a farci sempre più deboli e incapaci di vivere. Perché?
Cui prodest?

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Tettonica (a zolle) era il mio soprannome all'università, tanti e tanti anni fa. Me lo ero affibbiato da sola (trovavo soprannomi per tutti) ed esprime di me l'aspetto fisico (abbondante ovunque, ma soprattutto nella parte superiore). Ho rispolverato questo nomignolo perché ultimamente è aumentata la mia sensazione di vivere in precario equilibrio, o, se volete, di poggiare su una bomba ad orologeria. Che poi sarebbe il mondo in cui viviamo.